In generale si ritiene che i test diagnostici per il rilevamento del PRRSV siano efficaci nell’individuare gli animali infetti a condizione che si attui una buona strategia di campionamento.
La performance di un test diagnostico è generalmente valutata in termini di sensibilità e specificità diagnostica. Tecnicamente, la sensibilità diagnostica è la proporzione di animali realmente infetti (ammalati) individuati dal test (solitamente classificati come positivi), mentre la specificità diagnostica è la proporzione di animali sani correttamente classificati come tali (vale a dire negativi). In generale, la sensibilità diagnostica dipende dalla sensibilità analitica, ovvero la quantità minima dell’analita (vale a dire anticorpi o particelle/genomi virali) che il test è in grado di rilevare.
Per quanto concerne i test sierologici per il PRRSV (ELISA), la maggior parte di essi è in grado di rilevare gli animali infetti tra i 7 e i 14 giorni successivi all’insorgenza dell’infezione e di rilevare gli anticorpi per più di 4-5 mesi. Dopo la seconda settimana di infezione, la sensibilità può essere considerata prossima o pari al 100%. Per quanto riguarda la specificità, la maggior parte dei test ELISA mostra specificità diagnostiche superiori al 97-98%, dato decisamente accettabile. Secondo la nostra esperienza, la corrispondenza dei singoli risultati tra i diversi test ELISA commerciali va da moderata a buona per quanto riguarda la classificazione di animali infetti e non infetti.
Tuttavia, la performance pratica di un test deve essere valutata non solo in termini di sensibilità e specificità, ma anche in considerazione del contesto epidemiologico. In linea di principio, l’uso di un test che non ha una sensibilità del 100% in una popolazione con una percentuale molto bassa di animali infetti potrebbe comportare l’incapacità di rilevare questi animali (falsi negativi). Al contrario, l’uso di un test con una specificità inferiore al 100% in una popolazione sana, prima o poi porterà al rilevamento di animali falsi positivi. I nostri attuali test sierologici sono molto efficaci nel rilevare gli animali infetti e un po’ meno efficaci nel classificare gli animali sani.
Nel caso del test PCR, valgono i concetti di cui sopra, ma occorre fare alcune considerazioni. Sebbene la sensibilità analitica sia molto alta (è possibile rilevare anche solo una particella virale nella provetta PCR) e la specificità sia prossima al 100%, l’elevata diversità genetica del PRRSV influisce sulla performance pratica del test. In altre parole, poiché il virus è così vario, è quasi impossibile progettare un test PCR che rilevi tutti i possibili isolati all’interno di un genotipo. Nel nostro laboratorio, abbiamo fatto alcuni esperimenti per valutare il potenziale di test PCR sia commerciali sia realizzati internamente e i migliori hanno rilevato circa il 95-97% degli isolati all’interno del genotipo 1. Questo significa che, occasionalmente, alcuni animali infetti possono risultare negativi solo a causa della diversità del virus. Tuttavia, è importante considerare che la maggior parte degli errori corrispondeva a isolati appartenenti ai sottotipi 2-4 dell’Europa orientale.
Altra questione è quanto è affidabile un dato risultato prodotto da un determinato laboratorio. Al fine di garantire le sensibilità e le specificità di cui sopra è importante che il laboratorio disponga di protocolli adeguati, ivi incluso un protocollo di controllo della qualità, e che partecipi regolarmente a prove interlaboratorio o a esercitazioni diagnostiche collaborative allo scopo di testare internamente ed esternamente la qualità dei risultati.
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Centre for Research on Animal Health (CReSA), Barcelona University (UAB) – Spain